Protesi monocompartimentali: che cosa sono? In quali pazienti si utilizzano? Come avviene l’intervento? A queste e altre domande risponde il dottor Enzo Cenna, specializzatosi in Ortopedia e Traumatologia nel 1985 presso l’Università degli Studi di Torino e dal 2015 libero professionista presso la Clinica Humanitas Cellini e la Clinica Fornaca di Sessant di Torino.
Dottor Cenna, che cos’è una protesi monocompartimentale?
La protesi monocompartimentale è un impianto che va a sostituire solo la parte consumata del ginocchio, ossia la cartilagine e il supporto osseo che fa sì che il ginocchio abbia un’ammortizzazione quando camminiamo.
Questo tipo di protesi viene definita monocompartimentale proprio perché si sostituisce solo uno dei tre compartimenti del ginocchio (due tra femore e tibia e uno tra femore e rotula).
Nel caso specifico, viene sostituita la metà del ginocchio che sopporta il peso ed è più usurata, o dalla parte interna (mediale) o dalla parte esterna (laterale) del ginocchio.
In quali pazienti viene utilizzato questo tipo di protesi?
In passato la protesi monocompartimentale era stata vista un po’ come una possibile cura temporanea dell’artrosi: si sostituiva la parte consumata del ginocchio, poi quando si consumava anche l’altra metà, veniva rimpiazzata con una protesi totale.
Oggi non è più così: la protesi monocompartimentale consente infatti di risolvere il problema dell’artrosi del ginocchio dando una funzionalità nuova all’articolazione, permettendo al paziente di vivere il resto della vita senza dover subire altri interventi chirurgici per mettere una protesi totale del ginocchio. Questo proprio perché sostituiamo solo la parte consumata dell’articolazione, ma non creiamo un sovraccarico sulla parte del ginocchio che è rimasta sana.
La protesi monocompartimentale può essere utilizzata un po’ a tutte le età. In passato negli over 70 si preferiva una protesi che sostituiva tutto il ginocchio. Oggi invece anche in questi pazienti (se l’usura è limitata a un solo compartimento del ginocchio) scegliamo questo tipo di impianto, che ha una durata tra i 25 e i 30 anni e consente un recupero più rapido.
Può spiegarci come avviene l’intervento?
È un po’ come operare solo metà ginocchio… In pratica, esponiamo solo mezzo ginocchio, controlliamo che l’altra metà non sia usurata e poi, con delle apposite maschere di taglio, togliamo tutta la parte malandata dell’osso e la cartilagine consumata. Queste maschere ci consentono di essere molto conservativi sulla parte scheletrica pur rimuovendo tutta la parte usurata.
In seguito, vengono impiantati la componente tibiale, la componente femorale e un inserto in polietilene (uno speciale tipo di plastica che ha altissima resistenza all’usura), che consente di evitare l’attrito tra le due componenti metalliche.
Attualmente per l’intervento utilizziamo delle anestesie periferiche, che fanno anestetizzare solo la gamba da operare, in modo da ridurre al minimo l’impatto dell’anestesia sul paziente e ottenere un controllo del dolore ottimale nelle ore successive all’intervento.
La mattina successiva all’intervento viene messo il carico sulla gamba operata e il paziente inizia a camminare, dapprima con un girello, ma già dopo un paio di giorni cammina bene con le stampelle. Spesso i pazienti sotto i 70 anni sono in grado di camminare dopo 10 giorni con un bastone, che abbandonano dopo una ventina di giorni.
La degenza ospedaliera in genere è di 3-4 giorni, ma col tempo riusciremo a scendere ancora, arrivando a 2 o 3 giorni al massimo.
Può dirci qualcosa in merito alla riabilitazione postoperatoria?
Quando si è conservativi in sala operatoria anche il recupero dopo l’intervento è più rapido. Il paziente prende coscienza che può farcela anche da solo, con un minimo supporto del fisioterapista che lo segue nei primi 2-3 giorni dopo l’operazione: lo fa camminare, gli fa prendere confidenza con le stampelle, gli fare qualche scalino. Quindi quando viene dimesso ha già preso coscienza di essere abbastanza autonomo.
Oggi la riabilitazione non richiede più il ricovero, ma è sufficiente un contatto con il fisioterapista un paio di volte alla settimana dopo la dimissione.
Nella struttura in cui operiamo cerchiamo di avere una buona collaborazione con il fisioterapista perché la riabilitazione ha un ruolo fondamentale nei primi 3-4 giorni dopo l’intervento, è lì che si gioca la partita.
Se il paziente si rende conto che riesce a camminare senza più il dolore che aveva quando è arrivato, il gioco è fatto: si tratta solo di prendere confidenza con una cicatrice, un cerotto, il dolore chirurgico, ma in realtà ha più sicurezza che non prima di essere operato.
Con una protesi monocompartimentale si può tornare a fare attività sportiva?
Dopo aver messo una protesi monocompartimentale il paziente deve riprendere una vita a tutti gli effetti normale, anche dal punto di vista sportivo, parlando di attività sportiva “a basso impatto”, quindi sport privi di cambi di direzione in corsa o frequente contatto fisico. L’obiettivo comunque è riportare il paziente a un’attività fisico-sportiva adeguata alla sua età.
La protesi monocompartimentale gli permette di sentire il ginocchio come fosse il suo, perché la metà del ginocchio che abbiamo preservato lo fa sentire naturale (nel caso della protesi totale percepisce il ginocchio come finto). In pratica, mettere una monocompartimentale è un po’ come avere un ponte fisso in bocca, mentre la protesi totale è come una dentiera.
Per concludere cito un dato numerico: se in passato mettevo solo protesi totali di ginocchio, ora il 50% delle protesi che metto è monocompartimentale, con un trend progressivo in crescita. Ridando funzionalità al ginocchio, questo tipo di impianti consente infatti di andare incontro al meglio alle esigenze dei pazienti, che sempre più richiedono di svolgere attività fisica anche a una certa età.